Grazia Deledda

“A Grazia Deledda”
Premio Nobel 1926
Anello Parco Comunale Monte Ortobene, Nuoro

 Comitato Monte Ortobene “Ultima Spiaggia” 1901-2011 

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Grazia Deledda, bronzo, monte Ortobene, Nuoro, 2020

COMMENTO DELL’AUTORE

Ho progettato l’opera di Grazia Deledda ispirandomi all’amore della scrittrice per la natura, evocata e descritta nei suoi libri con colori e profumi, e in sintonia con il paesaggio del Monte Ortobene, unico e suggestivo, a lei tanto caro:

«No, non è vero che l’Ortobene possa paragonarsi ad altra montagna. L’Ortobene è uno solo in tutto il mondo: è il nostro cuore, è l’anima nostra,  il nostro carattere, tutto ciò che vi è di grande e di piccolo, di dolce e duro e aspro e doloroso in noi. Quando io sto sull’Ortobene e seduta su una roccia guardo il tramonto meraviglioso, mi pare di essere una cosa stessa con la roccia, e che l’anima sia grande e luminosa come il cielo chiuso tra le montagne della Barbagia fatale, oltre le quali mi pare di non esistere più».
Lettera di Grazia Deledda a Salvator Ruju (Nuoro, 05/09/1905)

Ho realizzato la scultura curando la composizione estetica, formale e plastica. Ho immaginato la figura che, con un movimento armonico e dinamico, cammina sui prati dell’Ortobene immersa nella natura da lei tanto amata, fonte inesauribile di ispirazione.

Ho scelto di dare uno spazio importante alla rappresentazione del suo mondo e del contesto in cui è vissuta. L’opera è arricchita da simboli e riferimenti alla sua vita, ai suoi libri e alla sua città, Nuoro, vissuta e raccontata spesso dalla scrittrice, attraverso i quali ci vengono trasmessi messaggi universali, oggi più che mai attuali. La rappresentazione non può prescindere dal legame con l’ambiente socioculturale di Nuoro, indispensabile per raccontare la Deledda, il suo mondo e il nostro.

Uno spiccato senso del realismo contraddistingue la statua, modellata nei minimi particolari di tutte le sue parti.
La figura è leggermente china verso il basso, intenta a scrivere. Nella mano destra stringe la penna, con la sinistra tiene diversi libri e la medaglia simbolo del premio Nobel.

Ho rappresentato Grazia Deledda con il costume di Nuoro di fine Ottocento per rendere omaggio alle sue origini, alle tradizioni nuoresi e al forte legame con la città. L’opera è una dedica all’eccezionalità della donna sarda, forte, saggia, discreta, paziente e coraggiosa, dall’animo orgoglioso, colonna portante della famiglia e della società.
Ho modellato il costume di Nuoro riproducendone le caratteristiche peculiari nei minimi dettagli, grazie a una mia attenta ricerca etnografica e ispirandomi alle precise descrizioni e allo stile verista delle opere della scrittrice.
La tradizionale gonna plissettata è in movimento, si libera nello spazio, rimandando simbolicamente alla vita intensa e dinamica della scrittrice.

«Il costume di Nuoro (…) è certo uno dei costumi più splendidi della Sardegna. Bisogna studiarlo in Chiesa, nei dì solenni(…). Lo scarlatto fiammeggiante al sole, il broccato, il velluto, l’orbace -produzione paesana – i nastri, i fazzoletti smaglianti di fiori, le bende bianche, nere, gialle, di lana, di mussolina e anche di seta, i bottoni a filigrana d’argento e d’oro si fondono in un insieme magnifico, ricco, e il personale alto e slanciato delle donne contribuisce a rendere elegante e bello il vestire».
Amore lontano: lettere al gigante biondo, 1891-1909

Ho realizzato plasticamente il ritratto del volto nei minimi particolari, per cogliere e ricordare il suo modo di porsi esprimendo la sua personalità unica ed inconfondibile. Ho dedicato particolare attenzione alla resa dei tratti somatici e dello sguardo, raffigurando la scrittrice nella maniera più fedele.

L’opera rappresenta una mia riflessione sull’evoluzione della bellezza estetica e del cambiamento del gusto, recuperando il concetto di figurazione comprensibile da tutti, aprendo una nuova via al realismo diversa dal passato giungendo a differenti livelli estetici del tutto o in parte nuovi.

Lo scultore Pietro Longu

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Personale Galleria “Età dell’Acquario” Sassari (1977)

ARTICOLO DELL’ARTISTA MARIO DELITALA

L’artista ancora giovane è nato a Bortigali, ridente paese ai piedi dei monti boscosi del Marghine e da cui si gode una pianura estesa che va smorzandosi alle basi del Gennargentu, e riunisce gente seria e molto laboriosa, agricoltori e allevatori che vestiti dal loro costume stretto e severo, quasi monocolore e col baculo in mano, erano presenti in tutte le fiere dell’isola.
Longu ha ereditato dagli antenati la serietà e la resistenza al lavoro, e nei suoi quadri, infatti non si scorge l’impulso momentaneo dell’impressionista, più o meno disordinato, ma la paziente serietà di esecuzione e la sicurezza di visione e di intuito che sono, secondo me, le virtù principali di un artista.
Io non l’ho seguito dentro il suo studio, ma in questa mostra dell’ “Età dell’Acquario”, ove lungamente ho potuto osservare le opere, prima di toccare il colore sulla tavolozza egli aveva già creato il tema, aveva dinnanzi a sé tutta l’armonia tonale ed il complesso ritmo delle forme che poi definirà, mano mano, procedendo nel lavoro.
La bellezza delle opere, però, non sta nei temi e nel concetto sociale e umano che essi indicano e che l’artista può spiegare con la sua parola, ma, nel linguaggio che sprigiona nelle immagini pittoriche, nella chiarezza derivante dalla semplicità dell’uso del pennello, o, della penna, o, della punta di acciaio che creano o sulla carta, o sul metallo o sulla tela chiaroscuri dai passaggi di una morbidezza incomparabile e tonalità di una musicalità sopraffina.
Le figure non sono trasformate con insulse intenzioni astrattistiche o presunzioni di artificiosa personalità ma, per seguire l’equilibrio compositivo richiesto dal sentimento e della sensibilità che era già dentro l’animo dell’artista; gli oggetti sparsi intorno ad esso hanno forme definite e tonalizzate idealmente per poter in esse far apparire più luminoso l’insieme e più vivo il movimento delle masse e che attraggono lo spettatore invogliando a scoprirsi emozioni sempre nuove e brillanti.
I titoli di molte opere quali: La Germinazione, Come paesaggio, La Nascita della Società, Le mani in pasta, L’uomo incatenato, I piombi, La pesca miracolosa, ecc., non sono adeguati a spiegarne il valore artistico, il quale dipende solo dal linguaggio pittorico in esso avvolto che bisogna scoprire ed intendere.
Gli oggetti diversi, ovali, esagonali, rettangolari ecc., con colori vari anche se si vedono in tutti i quadri, non si ripetono mai, perché hanno diverso brio tonale più o meno forte di lucentezza, hanno varietà chiaroscurali che servono a rendere vitale la composizione.
Le sfere più o meno grandi sebbene non riproducano una realtà, animano gli sfondi con aperture di buchi dai quali escono oggetti che con le loro prominenze e decorazioni ed i loro accostamenti suscitano emozioni e curiosità d’interpretazione.

L’artista nel bianco e nero traccia righe che si incrociano con delicatezza e insistenza e regolarità geometrica fino ad ottenere una scala di toni dal più chiaro al più scuro, creando forme e luci che, ripeto ancora, sono il segno più evidente di pazienza e sicurezza equilibrata di mano e della validità di buon compositore, cioè delle migliori virtù dell’artista.

Mario Delitala

 

L’Araba Fenice

Terracotta refrattaria: una pasta sperimentata e modellata dall’autore, utilizzata generalmente per la realizzazione dei piani di cottura dei forni ceramici.

cm 60 x 46 x 37
2011

L’opera è dedicata alla donna araba, alla conquista della sua libertà, alla sua emancipazione e al suo ruolo nella primavera araba. In una mano tiene l’araba fenice appena risorta mentre esce dalla sfera della società del passato. La donna viene infatti paragonata metaforicamente all’uccello mitologico: con gli occhi volge lo sguardo verso mondi e realtà nuove e ha una mano sul capo, pronta a liberarsi del burqa, che avvolge e lascia intravedere il corpo vivo e sinuoso, covando la sua rinascita.

L’opera è stata esposta alle seguenti mostre: Collettiva del MAN (Nuoro, 2011); Personale dell’artista (San Pantaleo, 2011); Collettiva “Icone” (Cagliari EXMA’, 2012); IncantARTI (Roma, 2012); Prefettura (Nuoro, 2015).
@produzione riservata

Omaggio ad Angelo Caria, a Nuoro e alla Sardegna

“NELL’IMPERO DORATO DOVE IL SOLE NON TRAMONTA MAI. E POI REGNO SARDO”

Murale, Viale Sardegna, Nuoro

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Da uno sfondo composto dal sole e dai suoi raggi, gli esagoni, emerge una grande sfera istoriata, che rimanda al mondo sardo. Sono infatti raffigurati i bronzetti, la Dea Madre, i Giganti di Mont’e Prama e il nuraghe Orolo (Bortigali), simboli di una società e di una cultura antica, evoluta e perduta, talvolta oggetto di scavi clandestini e vendita nelle aste mondiali e spesso, nel corso della storia, spogliata delle sue bellezze.
La sfera viene rovesciata da una figura stilizzata: sul capo porta una conchiglia, elemento simbolico ricorrente nelle opere dell’artista, rappresentante l’evoluzione del pensiero umano. Egli ha la mente rivolta verso il basso, il male, è un sordo e cieco esecutore che, rovesciando la sfera, disperde le ricchezze e i valori della Sardegna.
Al centro, la cascata incontrollata di tesori invade lo spazio inferiore dell’opera e le conchiglie vuote rappresentano l’evoluzione nella storia del pensiero umano, condizionato dalle invasioni.
Nella parte sinistra della composizione emerge la superficie sottostante, originariamente destinata ai manifesti elettorali, indicando simbolicamente come dal regno sardo-piemontese ai giorni nostri la Sardegna, con i suoi problemi, fatica ad emergere, ma spera in una rinascita.

E’ possibile individuare nell’opera gli elementi compositivi, formali e stilistici dell’artista, come le intense cromie, il gusto per il dettaglio e la ricchezza di forme derivate dalla natura, rappresentate con un forte senso realistico e simbolico.
Un’atmosfera straniante ed enigmatica domina la rappresentazione, le forme umane e naturali appaiono semplificate ed essenziali poiché mirano a rappresentare una realtà più profonda e ricca di significati allegorici.

La pittura dei primi anni

Lo sguardo
di chi osserva le opere pittoriche di Pietro Longu viene indubbiamente catturato dai colori intensi e dai marcati passaggi di luce ed ombra che animano i suoi quadri. I colori sono il risultato di un’attenta e continua ricerca cromatica: sono ottenuti dallo studio della scomposizione della luce. Ad esso si accompagna una costante sperimentazione dei materiali, che va dai supporti ai vari tipi di colore ad olio, acrilico o puri.
Sensibile ed attento ai problemi che da sempre l’uomo affronta nella società, nel significato dei suoi quadri è raccontata ed analizzata la complessità dell’essere umano. La serietà degli argomenti non toglie serenità: lo sguardo dello spettatore si sofferma attratto dai forti contrasti cromatici e dalle armoniche composizioni, che si lasciano guardare ed ammirare, suscitando curiosità e invitando alla riflessione e alla consapevolezza.
Le sue prime importanti opere pittoriche, spesso realizzate anche in grandi dimensioni, risalgono alla fine degli anni ’50 e ai primi anni ’60.
E’ questo dunque il periodo in cui nelle sue tele trovano posto una moltitudine di forme disposte in maniera armonica nella composizione. A prima vista sembrerebbero frutto della fantasia, in realtà sono tutte forme presenti in natura, che l’artista ha fatto proprie, colorandole e riutilizzandole di volta in volta, e rappresentandole sempre con un forte realismo ed al tempo stesso con un’intensa carica simbolica. Elementi di una natura oscura, poco conosciuti ed osservati, come insetti, muschi, licheni, erbe, alveari, alghe frastagliate, sassi e pietre preziose, spesso di piccole dimensioni, nei suoi quadri vengono ingigantiti e talvolta fanno da sfondo o raccontano. Sono forme allungate o geometriche caratterizzate da colori intensi e giustapposti e da forti passaggi cromatici. La percezione che ha chi guarda è quasi di straniamento e spaesamento: le forme sono immerse in un’atmosfera sospesa e di attesa, quasi metafisica e talvolta enigmatica ed onirica, in cui le figure umane e naturali appaiono semplificate ed essenziali, poiché mirano a rappresentare la realtà interiore dell’essere umano. Non un’estetica esteriore dei muscoli e dei tratti somatici visibili dunque, quanto piuttosto un’anatomia interiore con tutti i problemi esistenziali dell’uomo. Mediante la composizione di tante forme l’artista costruisce il corpo umano, in base alla drammaticità o alla bellezza che vuole esprimere.
Lo spettatore viene così catturato dai particolari dell’opera. Nel tentativo di interpretare e cogliere il significato della rappresentazione si avrà quasi l’impressione di entrare dentro la tela e di far parte della realtà raffigurata: più ci si soffermerà nei dettagli più se ne scorgeranno degli altri. Ogni parte racconta infatti una porzione della storia del quadro ed al tempo stesso esprime un significato autonomo ed indipendente, come se l’artista volesse guidare lo spettatore nella narrazione ed aiutarlo in questo modo a comprendere i molteplici significati dell’opera.
Sono questi gli anni in cui Pietro Longu inizia a maturare anche una personale riflessione sui problemi della società, della natura e dell’ambiente.
Il TossicomaneUno dei quadri più significativi e rappresentativi di questo periodo è senz’altro “Il Tossicomane” (fine anni ’50-inizi anni ’60, olio su sacco, 1.30×80). L’opera, che ha ottenuto diversi premi e riconoscimenti (come il Premio Monterosello a Sassari e il IV premio Terza Settimana d’Arte a Cagliari) affronta il tema della droga. Negli anni ’50 in Italia era una realtà ancora molto lontana, se ne parlava nei giornali come uno spauracchio presente solo negli Stati Uniti e nei paesi del Nord Europa. Una figura umana stilizzata domina il quadro. Appare subito evidente il dramma di chi vive intrappolato nella tossicodipendenza. Una luce intensa illumina e abbaglia un uomo, che tenta di coprirsi, svelando per un istante, quello catturato nel quadro, il dramma e il tormento di chi viene trascinato nel mondo della droga. I forti contrasti cromatici del giallo, del blu e del verde, e i marcati passaggi di luce e di ombra accentuano lo stato di angoscia e descrivono il mondo in cui è imprigionato il tossicomane.

Nell’opera “Conquiste nello spazio” (anni ‘60, olio su tela, 80×55) si rende omaggio ai primi esperimenti nel cosmo. La tela è ricca di elementi naturali stilizzati ed ingigantiti. foto (1) Copia (87)Una sagoma umana è racchiusa entro un segno colorato, una striscia-nastro che parte dal bianco e sfuma verso l’azzurro. La figura, racchiusa entro questa forma, è slanciata, come a voler salire verso l’alto, attraverso un moto ascensionale, e uscire per conoscere nuove frontiere e orizzonti sconosciuti, che si celano in alto a destra, al di là di scure fessure. Una sfera arancione con delle striature blu simboleggia l’universo e altri pianeti, mondi nuovi ancora da scoprire.

 “La Solidarietà” (prima metà anni ’70, olio su tela, 1.20×80) è dedicata invece all’aiuto reciproco tra gli uomini: una figura cerca di liberarsi da un cubo, che simboleggia lo spazio vitale dell’essere umano. Esso appare deteriorato, composto da tante forme e percorso da gallerie provocate dagli insetti, trasmettendo un senso di decadenza. Di fronte, un’altra figura in primo piano porge il suo aiuto. La SolidarietàAnche in quest’opera lo spazio in cui sono collocate le figure è molto significativo: sassi, pietre marine o di fiume dai colori intensi e contrastanti tra loro, quasi come pietre preziose, rappresentano il terreno accidentato in cui l’uomo generalmente si muove nel mondo e nella società in cui vive. In alto nello sfondo, sulla destra, un alveare simboleggia la laboriosità dell’uomo, l’aggregazione e la collaborazione sociale.

Una processione di figure umane, che assumono di volta in volta ricercate e differenti posture, rappresentano nella “Guerra” (1975, olio su tela, 1×60 ) l’aiuto e il sostegno per i feriti e i sofferenti. La Guerra
Anche qui, nello sfondo domina un grosso alveare sui toni del verde, i cui esagoni rimandano alla solidarietà e alla collaborazione sociale. Ombre inquietanti spiccano tra grandi sfere che sembrano precipitare come fossero bombe. Le sfere hanno grandi aperture e sembrano vuote, assumendo perciò un duplice significato, come se al loro interno possa esserci qualcosa, il bene o il male.

Chiara Longu
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