Il cubo, la sfera, la piramide: possibili chiavi di lettura dell’opera scultorea di Pietro Longu

L’attività,
la ricerca e la sperimentazione di Pietro Longu è sempre stata caratterizzata e scandita da un continuo  impegno nei confronti della scultura, della pittura e della grafica. L’artista si è cimentato nella scultura sin da quando era bambino, sperimentando e lavorando diversi materiali, come il marmo, la trachite, il legno e il bronzo. Nel corso della sua carriera ha avuto occasione di realizzare numerose opere pubbliche che attualmente impreziosiscono piazze, edifici e chiese di diverse città e paesi della Sardegna.

Entrando nel suo laboratorio si è immediatamente colpiti dal gran numero di opere scultoree, differenti per dimensioni e materiali, esposte al centro, ai lati o affisse alla parete dello studio, tra le quali sembra scaturire un dialogo “scenografico” infinito: due occhi non bastano a cogliere con un semplice sguardo gli innumerevoli dettagli e la miriade di volti e forme che le caratterizzano, ogni volta che le si osserverà si scoprirà un particolare nuovo. La forza espressiva di queste opere si carica poi di significati e suggestioni di volta in volta differenti a seconda della luce artificiale o naturale e delle ore del giorno. “La produzione scultorea di Pietro Longu è copiosissima. Lo studio, enorme, è stracolmo di bozzetti utilizzati per la modellazione delle opere di maggiore impegno, in un’alternanza di bassorilievi e tutto tondo che rivela quella facilità espressiva che spiega il come e il perché di tanta produzione” (Mario Corda, Certezza e Dubbio, il senso della vita nelle poesie di Bruno Forte e nelle sculture di Pietro Longu, 2002, p.77).Collage

Accanto alle grandi opere pubbliche emergono le opere scultoree di piccole dimensioni. Da esse si comprende chiaramente come per l’artista la scultura sia prima di tutto forma e modellato, le figure umane appaiono intrappolate entro forme geometriche solide, essenziali e finite, come sfere, cubi e piramidi, nelle quali è contenuto l’intero universo umano. E’ nella serie di queste sculture che è “racchiuso il senso della vita, nel più profondo sentire dell’artista” in cui è possibile cogliere “la chiave di lettura dell’intera opera scultorea di Pietro Longu: un percorso intellettuale in continua evoluzione, in continuo superamento di posizioni acquisite. E questo è riscontrabile anche nell’impostazione materica, rude nel marmo sbozzato di supplicanti corpi umani solo in parte emergenti da giganteschi blocchi della montagna di Orosei, fine quasi come marmo pentelico quando la raffigurazione è improntata ai sentimenti più teneri (ritratti della moglie e della figlia)” (M. Corda, 2002, p.78). Ciascuna di queste opere meriterebbe un’analisi e un singolo discorso critico, poiché ognuna custodisce e trasmette un significato autonomo e differente. Guardandole e contemplandole da ogni lato è possibile cogliere lo studio estetico e compositivo della forma, in cui “l’apparente razionalità di una figura solida come il cubo o qualsiasi altro parallelepipedo crea una strana antinomia nella composizione” (Wally Paris). Sono opere che possiedono una forte carica espressiva, emotiva e simbolica, e che pongono degli interrogativi esistenziali, richiamando l’assurdità e l’illogicità di alcune situazioni contro cui l’uomo nel corso della sua vita si misura: figure umane sono imprigionate nei cubi, nelle piramidi e nelle sfere, in posizioni che ne evidenziano la loro sofferenza e l’impossibilità di liberarsi. Ricorre spesso, a partire dagli anni ’60, l’uso del cubo, una forma geometrica tridimensionale, perfetta ed intrisa di significati, evoluzione del quadrato, l’unità di misura con cui tendiamo ad “inquadrare”, definire e comprendere tutte le cose che ci circondano. Il cubo rappresenta perciò il mondo o le situazioni dell’essere umano, l’artista lo definisce come “uno spazio geometrico e vitale, dove le forme appaiono e scompaiono al suo interno in perfetta sintonia, in cui si raccontano e si trasmettono i messaggi dell’opera rappresentata”.
Wally Paris in un articolo dedicato alle opere scultoree di Pietro Longu (Paris, Sassari Sera, 1997 ) accosta queste ai Prigioni di Michelangelo. Vi è infatti un’analoga agitazione delle figure nel tentativo di liberarsi dalla condizione umana in cui sono immerse. Nelle opere rinascimentali però, l’uomo, oppresso dal peccato, tenta di liberarsi per “raggiungere un’armonia metafisica” (Paris); nelle opere di Pietro Longu invece vi è una riflessione sulla “situazione della vita attuale, nella quale le problematiche da affrontare e da risolvere divengono via via sempre più difficili”, e in cui vi è perciò una “lotta quotidiana dell’uomo con il mondo che lo circonda” (Paris). Secondo Mario Corda (2002, p.79) invece “le figure di Longu sembrano immerse nella contraddizione dialettica dell’esistere o non esistere, apparentemente impotenti a influire sul loro destino, cioè a determinare un qualunque risultato nell’ambito di un divino disegno creativo, ma già esprimenti l’angoscia di dover emergere per far parte dell’esistente, del creato”.

Accanto a queste interpretazioni se ne può accostare un’altra meno pessimistica di matrice romantica. Nelle sculture emerge infatti la più grande ambizione della natura e della mente umana che, nonostante la sua finitezza, simboleggiata nelle opere dell’artista dalle forme geometriche solide, si misura e tende verso l’infinito: le figure rappresentate cercano di liberarsi da forme finite, nel tentativo di cogliere realtà superiori, poiché sono individui pensanti. In questa aspirazione verso l’infinito risiede la grandezza dell’uomo che, pur trovandosi in continua lotta contro i suoi limiti, mira alla libertà, unico mezzo con cui può “slegarsi” dalla sua condizione e raggiungere un fine più elevato, in cui potrà placare il suo desiderio di felicità, raggiungendo la massima virtù. L’infinito, un piacere quasi sublime “che, per il fatto di poterlo anche solo pensare, attesta una facoltà dell’animo superiore ad ogni misura dei sensi” (Kant), viene colto solo in parte, infatti le figure non si separano dai solidi a cui restano legate, è perciò un’illusione e un’esigenza necessaria. L’aspirazione verso l’infinito diventa così il principio stesso del piacere e il fine a cui tende lo slancio vitale dell’uomo.

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