“Realtà simboliche, atmosfere di attesa e tematiche sociali”

Cromie intense e giustapposte contraddistinguono e animano le opere pittoriche di Pietro Longu, contribuendo a delineare il suo universo intellettuale. Il colore, fondamentale ed indispensabile elemento della sua sperimentazione stilistica e formale, assume nei suoi quadri il ruolo di protagonista, acquisendo un’importanza non solo dal punto di vista tecnico ma anche visivo. Emerge perciò “un gusto per il colore acceso quando occorre, morbido quando deve esprimere un modo più pacato di considerare le cose” (Casalini). Le forme stesse, derivate dalla natura e rappresentate con un forte senso realistico e al tempo stesso simbolico, si definiscono e materializzano grazie alla padronanza cromatica.

Bacco

Bacco

Il quadro “Bacco” della metà degli anni ’70 colpisce proprio per la lucentezza, la pulizia e la nitidezza dei colori che contribuiscono a dare vigore e luminosità all’opera. E’ un olio su tela di grandi dimensioni (2,80×1,60) ed è dedicato a Bacco, dio del vino e dell’estasi. La scena è ambientata al di fuori della dimensione temporale e appare immobile, sospesa e silenziosa, dominata da una luce tersa e cristallizzata. Sullo sfondo una fascia istoriata, lontana allusione alla pittura vascolare greca, racconta il processo produttivo del vino. A sinistra, attorno ad un ambiente bucolico e al centro di un cumulo di sassi, siede il dio Bacco dal volto appena definito e rappresentato mentre tiene in una mano un bicchiere di vino e nell’altra un grappolo d’uva. Alle sue spalle una grande conchiglia simboleggia l’evoluzione del pensiero e della mente umana, prigioniera degli effetti causati dallo stato di ebbrezza.

Bacco - particolare

Bacco – particolare

Davanti alla divinità, sulla sinistra, domina una figura femminile astratta ed incorporea che spicca per il morbido panneggio e per l’intenso colore azzurro in contrasto con le tonalità calde del quadro. Viene rappresentata mentre offre al dio Bacco una coppa di vino, allude all’ebbrezza e per questo appare “vuota”, diafana ed inconsistente. Colpisce infine la maestria e il realismo nell’esecuzione dei dettagli, come ad esempio la sfera, una delle forme ricorrenti nello stile e nelle opere dell’artista, che nel quadro è di cristallo e contiene il vino.

Il Seme della Cultura

Il Seme della Cultura

Nel “Seme della Cultura” (1986) ritornano le tematiche care all’autore inerenti alla propria terra, la Sardegna. Il quadro (olio su tela, 1.50×90) si compone per la presenza di una grande sfera e di una figura umana stilizzata con un ampio mantello blu. La sfera in realtà è una piccola spora che l’artista ingigantisce assegnandole grandi dimensioni. E’ tipico di Pietro Longu rappresentare elementi derivanti da una natura poco conosciuta ed osservata, che vengono fatti propri assumendo nelle sue opere tonalità differenti e dimensioni maggiori, con significati sempre diversi, talvolta richiamando lontanamente alla mente le opere grafiche di Odilon Redon della fine dell’800. Domina la scena un’atmosfera straniante e surreale, enigmatica ed onirica, in cui forme umane e naturali appaiono semplificate ed essenziali, poiché mirano a rappresentare la realtà interiore dell’essere umano. La sfera raffigura la società della Sardegna, in essa vi è infatti una fascia istoriata in cui sono rappresentati i bronzetti nuragici, scelti dall’artista come simbolo della cultura sarda. Un foro nella sfera indica che dentro di essa c’è vita, movimento e tutto ciò che appartiene alla “sardità”. La figura umana viene rappresentata mentre inserisce il seme di una spiga dentro la sfera, conferendo così continuità e ricchezza alla sua società e alla sua cultura: è l’uomo sardo con il gambale aperto, indossato dal contadino e dal pastore che lavorano in campagna. La figura è avvolta da un panneggio azzurro, che simboleggia il mare e sul capo porta una conchiglia, elemento simbolico ricorrente in tutte le opere pittoriche, scultoree e grafiche dell’artista. Rappresenta l’evoluzione del pensiero umano, “quello della spirale è un segno che in genere, nella simbolica dell’arte figurativa, esprime l’idea dell’infinito e del calarsi nell’infinito degli imprevedibili percorsi del pensiero. E’ così è in Longu che insistentemente lo colloca nei dipinti, come un quid apparentemente di riserva, quasi un’extrema ratio, ma tutt’altro che accidentale”(Mario Corda 2002 p.75). Sullo sfondo una fascia istoriata nei toni del blu rappresenta la cultura universale, di cui il popolo sardo ha ugualmente fatto tesoro, e tra cui spiccano la Scuola di Atene, le grandi conquiste di oggi e la ricerca dell’antimateria.

Sakharov

Sakharov

L’intera carriera artistica di Pietro Longu è caratterizzata dall’esecuzione di diverse opere scultoree e pittoriche che affrontano tematiche storiche, sociali ed attuali. Tra queste, meritevole di citazione, è “Sakharov” (1977, 80×1,00). Andrej Dmitrievič Sakharov è stato un fisico sovietico, che verso la fine degli anni ’50 contestò gli esperimenti nucleari a scopo bellico e successivamente, negli anni ‘70, criticò le repressioni del regime sovietico, divenendo difensore dei diritti civili dei dissidenti e dei perseguitati che gli valse il premio Nobel per la pace nel 1975. Nel 1980 fu arrestato e fu confinato nell’odierna Nižnij Novgorod. L’opera, rappresentata tre mesi prima del suo esilio con una forte carica narrativa, raffigura al centro Sakharov con le mani legate e incatenate: tra le braccia tiene una sfera istoriata che rappresenta il suo mondo, i suoi valori, il suo pensiero, che porta stretto a sé. La catena non è solamente legata ai polsi, ma si trova anche sul capo, alludendo all’ “incatenazione” della mente e al blocco del pensiero di quegli anni. Dietro il capo, in una fascia istoriata appaiono gli accusatori che lo mandarono in esilio, rappresentati con il dito puntato. Traspare un senso di immobilità, di silenzio e di attesa da cui emerge il potere magico del simbolo. L’intera pittura è immersa infatti in un contesto di forme, luci e colori che contraddistingue lo stile di Pietro Longu: ci sono sassi e pietre che rotolano e che rimandano al tormento della tematica rappresentata, e vi è la geometrica perfezione dell’icona esagonale, che auspica una società cooperativa e la conquista della libertà.

Chiara Longu
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Le prime sculture


“Pietro esercitava il suo diritto al sogno e alla felicità nelle campagne dove avevano pascolo e orti, Sas Seddas, Pitigunis, Badde Tricada. Il bambino osservava il muoversi a spirale della chiocciola, segno ricorrente nell’arte dell’uomo adulto”
(Natalino Piras, La Nuova Sardegna, 05-09-2004).

Le primissime opere scultoree di Pietro Longu risalgono all’età scolare.
L’età infantile è senz’altro una delle fasi della sua vita più importanti. Sono questi infatti anni ricchi di esperienze intense che hanno segnato la sua esistenza e la sua carriera artistica.  L’artista scopre il mondo esterno e la realtà che lo circonda, è libero di salire sugli alberi, di passare tra i cespugli, di fare il giro delle tanche sui muri, di correre a cavallo; una libertà che ha trasferito in una personale espressione artistica.
Un’infanzia segnata dal grande impegno e senso del dovere: appena usciva da scuola si recava in campagna ad aiutare il padre e a badare al bestiame. Rimanendo spesso da solo, ha iniziato a conoscere la pietra, come la trachite e l’arenaria, e a scolpirla, servendosi di strumenti improvvisati, come vecchi chiodi da binario o cacciaviti della Singer (la macchina da cucire della mamma). «Trovata la pietra, la ferula, la terra luzzana, mi mettevo a modellare e scolpire. Non c’era albero che non salivo, roccia dove non saltavo, animale che non seguivo» (Natalino Piras, La Nuova Sardegna, 05-09-2004). Gli oggetti delle sue sculture erano quelli appartenenti da un lato alla sfera fantastica, come il castello, dall’altro legati al mondo che lo circondava e con cui era a contatto, come nuraghi, la macina del grano con l’asinello, il caminetto con le persone sedute accanto al focolare, le signore del paese e Grazia Deledda.
Il “nuraghe Orolo”, tra più significativi monumenti archeologici che appartengono al territorio di Bortigali, è un vero e proprio modellino di nuraghe, riproduce infatti l’esatto numero dei conci che lo costituiscono. L’artista aveva una conoscenza approfondita del monumento, si divertiva ad arrampicarsi sulle mura esterne ed interne e a contarne le sue pietre.
La gente del paese di Bortigali si è mostrata sin da allora entusiasta nei confronti della creatività dell’artista-bambino, tutti si recavano a casa a vedere le sue opere. Ciò gli ha sicuramente dato la forza e la carica per continuare e prendere la coraggiosa decisione di lasciare il paese e dedicarsi agli studi, iscrivendosi a Sassari all’Istituto d’Arte.
Tutti i lavori realizzati da bambino sono stati esposti per un anno intero nelle vetrine dell’Istituto d’Arte, infatti i suoi professori come Stanis Dessy, Gavino Tilocca e Filippo Figari, ritenevano che queste precoci opere dovessero essere viste da tutti, per attestare l’elevato livello della scuola e dimostrare che all’Istituto d’Arte si accedeva solo se si era in possesso di  una certa predisposizione, di determinate capacità e manualità.

Scrive il poeta Pantaleo Serra:

Deo, Pietro, nascher t’hapo idu,
pizzinnu poi e giovanu formadu:
istande faccia a pare in bighinadu,
da-e sa vista no mi ses fuidu.

Cun sus tempus, de poi, hapo sighidu
ancora s’eccellente risultadu
cando ti hat  s’iscola diplomadu
pro su gradu c’hais cunsighidu

in sa nobile arte ‘e sa pittura,
ende dotadu de altu talentu
e geniales donos de natura.

 Ti poto narrer chi, ogni momentu
hap’ammiradu sa tua figura,
ca sempre simpatia nd’appo tentu.

  _______

 M’ammento, cand’ancora pastoreddu,
pro vigilare s’ama in sa pastura,
vivias a contattu ‘e sa natura,
ma non faghia usu ‘e s’iscarpeddu,

 eppuru t’est frimada in su cherbeddu
sa mirabil’idea ‘e s’iscultura;
sen’haer in materia cultura
ne puntas de attarzu, ne marteddu,

 unu cant’e calcare has modelladu
forzis fattende usu ‘e carchi zou
o de calchi puntale ismarrazadu!

 Trasformende su ruzu aspettu sou
In d’un’oggettu e arte, ch’est istadu
su primu geniale passu tou.

 _______

 Ispintu da-e s’estru, e guidadu
sempre da-e sa vera passione,
has consighidu sa perfezione
cando ti ses artista diplomadu.

 Figuras dogni tipu has modelladu
e pintus telas chi, ogni persone
hat ammiradu in s’esposizione
varias bolta, e t’hat giudicadu

 Cun giustu riguardu e bonucoro;
t’hat riconnotu veru fizu ‘e s’Arte
e premios t’hat dadu in prata e oro.

 Sias da hoe notu indogni parte;
hapas de sa provincia de Nuoro
sempre pius in altu s’Istendarte!

 Pantaleo Serra,  Roma 15 dicembre 1975

Chiara Longu
©Riproduzione riservata

La pittura dei primi anni

Lo sguardo
di chi osserva le opere pittoriche di Pietro Longu viene indubbiamente catturato dai colori intensi e dai marcati passaggi di luce ed ombra che animano i suoi quadri. I colori sono il risultato di un’attenta e continua ricerca cromatica: sono ottenuti dallo studio della scomposizione della luce. Ad esso si accompagna una costante sperimentazione dei materiali, che va dai supporti ai vari tipi di colore ad olio, acrilico o puri.
Sensibile ed attento ai problemi che da sempre l’uomo affronta nella società, nel significato dei suoi quadri è raccontata ed analizzata la complessità dell’essere umano. La serietà degli argomenti non toglie serenità: lo sguardo dello spettatore si sofferma attratto dai forti contrasti cromatici e dalle armoniche composizioni, che si lasciano guardare ed ammirare, suscitando curiosità e invitando alla riflessione e alla consapevolezza.
Le sue prime importanti opere pittoriche, spesso realizzate anche in grandi dimensioni, risalgono alla fine degli anni ’50 e ai primi anni ’60.
E’ questo dunque il periodo in cui nelle sue tele trovano posto una moltitudine di forme disposte in maniera armonica nella composizione. A prima vista sembrerebbero frutto della fantasia, in realtà sono tutte forme presenti in natura, che l’artista ha fatto proprie, colorandole e riutilizzandole di volta in volta, e rappresentandole sempre con un forte realismo ed al tempo stesso con un’intensa carica simbolica. Elementi di una natura oscura, poco conosciuti ed osservati, come insetti, muschi, licheni, erbe, alveari, alghe frastagliate, sassi e pietre preziose, spesso di piccole dimensioni, nei suoi quadri vengono ingigantiti e talvolta fanno da sfondo o raccontano. Sono forme allungate o geometriche caratterizzate da colori intensi e giustapposti e da forti passaggi cromatici. La percezione che ha chi guarda è quasi di straniamento e spaesamento: le forme sono immerse in un’atmosfera sospesa e di attesa, quasi metafisica e talvolta enigmatica ed onirica, in cui le figure umane e naturali appaiono semplificate ed essenziali, poiché mirano a rappresentare la realtà interiore dell’essere umano. Non un’estetica esteriore dei muscoli e dei tratti somatici visibili dunque, quanto piuttosto un’anatomia interiore con tutti i problemi esistenziali dell’uomo. Mediante la composizione di tante forme l’artista costruisce il corpo umano, in base alla drammaticità o alla bellezza che vuole esprimere.
Lo spettatore viene così catturato dai particolari dell’opera. Nel tentativo di interpretare e cogliere il significato della rappresentazione si avrà quasi l’impressione di entrare dentro la tela e di far parte della realtà raffigurata: più ci si soffermerà nei dettagli più se ne scorgeranno degli altri. Ogni parte racconta infatti una porzione della storia del quadro ed al tempo stesso esprime un significato autonomo ed indipendente, come se l’artista volesse guidare lo spettatore nella narrazione ed aiutarlo in questo modo a comprendere i molteplici significati dell’opera.
Sono questi gli anni in cui Pietro Longu inizia a maturare anche una personale riflessione sui problemi della società, della natura e dell’ambiente.
Il TossicomaneUno dei quadri più significativi e rappresentativi di questo periodo è senz’altro “Il Tossicomane” (fine anni ’50-inizi anni ’60, olio su sacco, 1.30×80). L’opera, che ha ottenuto diversi premi e riconoscimenti (come il Premio Monterosello a Sassari e il IV premio Terza Settimana d’Arte a Cagliari) affronta il tema della droga. Negli anni ’50 in Italia era una realtà ancora molto lontana, se ne parlava nei giornali come uno spauracchio presente solo negli Stati Uniti e nei paesi del Nord Europa. Una figura umana stilizzata domina il quadro. Appare subito evidente il dramma di chi vive intrappolato nella tossicodipendenza. Una luce intensa illumina e abbaglia un uomo, che tenta di coprirsi, svelando per un istante, quello catturato nel quadro, il dramma e il tormento di chi viene trascinato nel mondo della droga. I forti contrasti cromatici del giallo, del blu e del verde, e i marcati passaggi di luce e di ombra accentuano lo stato di angoscia e descrivono il mondo in cui è imprigionato il tossicomane.

Nell’opera “Conquiste nello spazio” (anni ‘60, olio su tela, 80×55) si rende omaggio ai primi esperimenti nel cosmo. La tela è ricca di elementi naturali stilizzati ed ingigantiti. foto (1) Copia (87)Una sagoma umana è racchiusa entro un segno colorato, una striscia-nastro che parte dal bianco e sfuma verso l’azzurro. La figura, racchiusa entro questa forma, è slanciata, come a voler salire verso l’alto, attraverso un moto ascensionale, e uscire per conoscere nuove frontiere e orizzonti sconosciuti, che si celano in alto a destra, al di là di scure fessure. Una sfera arancione con delle striature blu simboleggia l’universo e altri pianeti, mondi nuovi ancora da scoprire.

 “La Solidarietà” (prima metà anni ’70, olio su tela, 1.20×80) è dedicata invece all’aiuto reciproco tra gli uomini: una figura cerca di liberarsi da un cubo, che simboleggia lo spazio vitale dell’essere umano. Esso appare deteriorato, composto da tante forme e percorso da gallerie provocate dagli insetti, trasmettendo un senso di decadenza. Di fronte, un’altra figura in primo piano porge il suo aiuto. La SolidarietàAnche in quest’opera lo spazio in cui sono collocate le figure è molto significativo: sassi, pietre marine o di fiume dai colori intensi e contrastanti tra loro, quasi come pietre preziose, rappresentano il terreno accidentato in cui l’uomo generalmente si muove nel mondo e nella società in cui vive. In alto nello sfondo, sulla destra, un alveare simboleggia la laboriosità dell’uomo, l’aggregazione e la collaborazione sociale.

Una processione di figure umane, che assumono di volta in volta ricercate e differenti posture, rappresentano nella “Guerra” (1975, olio su tela, 1×60 ) l’aiuto e il sostegno per i feriti e i sofferenti. La Guerra
Anche qui, nello sfondo domina un grosso alveare sui toni del verde, i cui esagoni rimandano alla solidarietà e alla collaborazione sociale. Ombre inquietanti spiccano tra grandi sfere che sembrano precipitare come fossero bombe. Le sfere hanno grandi aperture e sembrano vuote, assumendo perciò un duplice significato, come se al loro interno possa esserci qualcosa, il bene o il male.

Chiara Longu
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